• Home
  • Cerca
  • Contatti
  • Links
Menu Principale
  • Home
  • Mostre & Eventi passati
  • Mostre & Eventi in programmazione
  • Parlo Io
  • Collezione Etichette Vini
  • Collezione Etichette Abbigliamento
  • Cinema Locorotondo
  • Pietracalca Magazine
  • Centro Studi Economici Pugliese
  • Salsiccia e Poesie
  • Cookie Policy
Gallerie
  • Cartoline - We Were
  • Cartoline - Night Bloomings
Home Parlo Io

Parlo Io

NOMES EST OMEN

PDF | Stampa | E-mail

Nomen est omen dicevano i latini. NEL NOME C’E’ IL DESTINO.

“Dare un nome alle cose” è una delle facoltà intellettive più nobili dell’uomo. Molto spesso l’atto della creazione coincide con il momento in cui si nomina qualcosa. Un esempio su tutti, la Genesi: “Dio […] chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno”.  L’etimologia, infatti, ci viene incontro quando vogliamo risalire al significato delle parole cioè conoscere la loro origine, la loro storia. E se è vera la lezione di Giustiniano secondo cui i nomi derivano dalle cose, e cioè le identificano (nel senso che ne creano l’identità), capiamo quanto sia importante che un prodotto che sta per essere lanciato sul mercato,  o un’azienda, abbiano il nome giusto.

NAMING vuol dire, molto semplicemente, “chiamare”, “nominare”, assegnare un nome. Ma il NAMING per il mercato è molto di più, è un’arte poco conosciuta e ancor meno messa a frutto. Si tratta di una vera e propria operazione di strategia aziendale che tiene conto di innumerevoli parametri fra i quali l’identità del prodotto, l’immagine evocativa alla quale deve essere legato, il posizionamento sul mercato, il target di riferimento, le anteriorità dei competitors esistenti, ecc.

Prima era molto più semplice. Le aziende avevano di solito il cognome del fondatore e i nomi per i prodotti venivano scelti su base emotiva, il nome di un figlio per es., o cercando di evidenziare la continuità con la tradizione aziendale (ecco che molti modelli di auto vengono identificati solo con il nome della casa madre seguito da un numero).

Oggi invece gli imprenditori si trovano a dover scongiurare la saturazione e il ristagno del mercato conferendo ai prodotti e ai servizi offerti uno stampo dinamico, un lancio diretto sul mercato e una rapida affermazione in esso. In questa logica il nome diventa un vero e proprio “passaporto per entrare in comunicazione” con il consumatore, come scrivono M. Botton, J.J. Cegarra e B. Ferrari, gli autori del libro Il nome della marca.

Il rischio è sempre in agguato. Un nome poco convincente, o addirittura improponibile, si può tradurre in un brand di scarso successo. Meno il marchio è spendibile sul mercato più si renderà necessario il supporto di una campagna pubblicitaria mirata e persuasiva che supplisca alle debolezze del nome. D’altro canto, ci vuole davvero poco per innestare un successo inarrestabile.

L’attività del naming porta dunque ad un  “nome o segno”, questo deve essere inoltre tutelabile giuridicamente in quanto caratterizzato  da due elementi importantissimi la “distintività”, cioè la capacità di un segno ricondurre il consumatore ad una determinata azienda, così da ripetere l’acquisto se soddisfatto, o di non ripeterlo se insoddisfatto, ed inoltre la “novità”, cioè che nel territorio dove si intende utilizzarlo non ne esistano né di identici né di simili così da ingenerare confusione circa la provenienza dei prodotti e/o servizi. La mancanza della “distintività “e della “novità” possono comportare la nullità del “segno”.

Da alcuni decenni, aziende di professionisti lavorano ogni giorno nel campo del Naming per incontrare le esigenze del cliente e collaborare alla nascita di nuovi brand tutelabili giuridicamente.


Francesco Paolo Fumarola

Studio FandIp

Marchi, brevetti, design e diritto d’autore

www.fandip.com

 

ESPRIMETEVI PER PROTEGGERVI

PDF | Stampa | E-mail

Mi è stato chiesto più volte di curare articoli di matrice giuridica per riviste periodiche, in cui si disserta anche di Diritto, ma ho sempre rifiutato, perché ritengo che -a meno di essere davvero innamorati della materia- si scada in uno sbadiglio propedeutico allo sfoglio della pagina.

Questa volta, tuttavia, ho accettato, sia per soddisfare il mio desiderio di confrontarmi con esperienze di vita sempre nuove, sia perché ho ammesso a me stesso di essere stato presuntuoso. E non poco. Ho pensato, infatti, che si possa ovviare al problema con un bonario stratagemma. Scriverò -mi son detto- qualcosa sulla stagione estiva, appena terminata.

Un episodio “da ombrellone”. L’estate, si sa, è la stagione della libertà per antonomasia: ci si diverte, ci si rilassa, si lavora di meno e si spende il proprio tempo (e non solo quello, purtroppo) come meglio si crede. Quante volte, però, capita di sentirsi dire: “Divertiti, non pensarci”, oppure “Riposati, non ci pensare: vattene al mare” e, subito dopo, nel seguire quel consiglio, si riflette proprio sul concetto che si vorrebbe allontanare, almeno per un po’ di tempo.

Ebbene, è proprio in quegli istanti o in quelli successivi, che ci si può imbattere nelle migliori idee: credo di essere un po’ troppo retorico, nel citare l’espressione popolare “La notte porta consiglio”, benché rappresenti benissimo proprio ciò che può accadere in un periodo di vacanza. Vi spiego perché. Quante volte, sotto un ombrellone o nell’acqua di una piscina, si è letteralmente folgorati: no, non da un fulmine di un probabile temporale estivo, bensì dalla cosiddetta “idea brillante”, che porta a pensare ad alta voce o a raccontarla immediatamente a mamme pensierose, papà distratti, fidanzate perplesse, mogli sclerotiche, fratelli incerti o amici dell’ultim’ora.

Si potrebbe dire, dunque, che -in quei casi- la “notte” della mente, spenta per ferie, “porta consiglio”. Se il quadro ora dipinto non appare tanto inverosimile all’attento lettore, altrettanto possibile dovrà ritenersi l’ipotesi per cui, in quei precisi momenti, vi sia qualcuno lì, proprio accanto a voi. “Che vuoi che succeda”, vi direte, guardandolo in cagnesco, perché tanto ognuno -oggigiorno- pensa agli affari propri. Eppure, non smetterete di grattarvi il capo, quando vedrete o sentirete realizzare da altri il vostro progetto, rimasto incompiuto dopo un anno passato solo a tentare di iniziarlo, cercando -invano- di spostare i vostri impegni quotidiani, di lavoro e non.

“È impossibile: non ne è ho mai parlato ad anima viva” sarà il primo pensiero che vi frullerà per la testa, la quale -ormai più incredula di voiripenserà immantinente al fatto che -forse- avreste dovuto prestare più attenzione. Ciò che precede non è soltanto una potenziale, iperbolica sceneggiatura cinematografica, ma il ritratto di una persona, che -guardandosi allo specchio- potrebbe anche tentare di bagnare uno dei propri occhi -a sceltacon la propria peptina. I più combattivi, invece, penserebbero subito di rivolgersi (gratis, mi raccomando!) al proprio avvocato di fiducia.

In questi casi, però, non c’è difesa che possa reggere: il sorgere di una tutela giuridica dipende, infatti, dalla realizzazione, cioè dall’esteriorizzazione di un’opera o, per essere più generici, di un’idea. In definitiva, ciò significa che la semplice idea non è tutelabile in sé e per sé, ma è indispensabile che l’ideatore si trasformi in autore. Le parole, del resto, ci soccorrono non certo a caso: “poeta” (che indica sicuramente un “autore”) è una parola che deriva dall’antico Greco, in cui “poiew” significa “fare, agire”. Dal che si desume che poeta è, semplicemente, “colui che fa, che agisce”. Un’idea, perciò, è oggetto di specifica tutela, soltanto quando vede la luce, venendo realizzata (o comunicata, in alcuni casi).

È proprio in quel frangente, inoltre, che l’autore acquista il diritto d’autore, di cui si scriverà -periodicamente- in questa rubrica. Per dirla in “giuridichese”, il momento creativo rappresenterà il titolo originario (art. 6, Legge sul Diritto d’Autore). Nessuna differenza, poi, si può ipotizzare, se si decidesse di comunicare le proprie velleità progettuali a qualcuno lontano migliaia di chilometri.

Via email, ad esempio. Benché la rete Internet (la Rete delle reti) venga avvertita come una sorta di “far west”, ove è possibile “navigare”, trasferendosi da un luogo all’altro del pianeta in un batter d’occhio, la verità è che essa non è affatto un’entità geografica, ma un semplice (anche troppo, a volte) mezzo di comunicazione, che -peraltro- per sua stessa natura rende difficile -talvolta- collocare geograficamente il soggetto che si trova all’altro capo del telefono. O del personal computer, fate voi. Quel che è certo è che, nemmeno in un’occasione del genere, potremmo agire giudizialmente, neppure se conoscessimo esattamente il nostro interlocutore, che decide di realizzare l’idea prima di noi. E -magari- ci riesce pure appieno, recando a sé profitto, mentre a voi neppure il danno! Ecco, dunque, che l’invito iniziale non suonerà più così ambiguo e -forsenemmeno tanto banale:

esprimetevi per proteggervi!


Avv. Francesco G. Pizzigallo

 
feed-image

Copyright © 2010 Associazione Culturale Pietracalca. Presidente Francesco Paolo Fumarola CF FMRFNC67L15E986S
All Rights Reserved.